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262 il vivajo del buon dio

tosi, simili a carcasse di vecchio metallo corazzato e borchiato, dai denti gialli, radi, aguzzi, oltrepassanti qua e là le mascelle formidabili. S’avanzano pigri, fanno cerchio dall’acqua intorno al custode, il quale lancia brani di carne legata ad una corda, perchè non venga ghermita a volo dai nibbi turbinanti intorno, attirati dal fetore nauseabondo.

L’Inghilterra che tollera tutto, tollera anche questo. Tollera anche l’Ospedale degli animali, in Bombay, che è il non plus ultra del genere, l’esponente massimo di questa filosofia bramina, così opposta alla nostra, educata al cristianesimo il quale riduce ogni divinità all’uomo soltanto e fa di tutto ciò che vive sulla terra una materia sorda, condannata senza speranza.

L’ospedale degli animali — un recinto-parco che costa centinaia di migliaia di rupie — accoglie tutti gli animali ammalati perchè possano guarirvi o morirvi in pace. Lo spettacolo (e il fetore!) è tale che l’europeo non s’indugia a lungo; falangi di bestie da soma: ronzini di piazza, bufali, zebù ischeletriti o idropici, sciancati, anchilosati, coperti d’ulceri e di piaghe, scim-