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goa: “la dourada„ 55

mai. «Chi ha visto Goa non ha più bisogno di veder Lisbona».

Ancora una volta tocco l’ultimo limite della delusione, sconto la curiosità morbosa di voler vedere troppo vicina la realtà delle pietre morte, di voler constatare che le cose magnificate dalla storia, dall’arte, cantate dai poeti, non sono più, non saranno mai più, sono come se non siano state mai!

Strade interminabili, alternate di palazzi cadenti, vuoti come teschi, di verzura selvaggia sopravanzante alti muri massicci, di torrioni rivestiti di capillarie pendule, di liane gonfie, maculate come pitoni; e chiese, ruine religiose più tristi delle ruine profane. Sosto nella frescura ombrosa d’un frammento di vòlta a sesto acuto, rimasta in piedi per prodigio, poichè sorretta da un solo muro superstite. La mia nostalgia s’illude per un attimo d’essere in una chiesa diroccata della Romagna o dell’Abruzzo. Ma tre scimmie oscene — vero simbolo apocalittico di Satanasso — occupano il vano dell’abside, una frotta di pappagalli minuscoli corre sulle quattro ogive; non l’edera, non la