Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/149

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canto sesto 139

23
     Filinor le diceva quell’idea
di concorrer custode del sigillo.
— Io sono un cavaliere — le dicea —
in questi fatti timido e pupillo;
esule, posso dir, siccome Enea,
ma d’una nobiltá, permesso è il dillo,
che la casa Chiarmonte è una capanna,
alla mia a petto, e un casolar di canna.
24
     Io son del gran casato di Vesuvio.
La mia modesda, so, troppo s’avanza;
ma vi potrei mostrar che pel diluvio,
siccome gli altri, non ebbe mancanza.
Ennio lodollo e l’esaltò Pacuvio.
Non uso tradizion, che me n’avanza;
ma la ruota del mondo che s’aggira,
ier facea rider tal, ch’oggi sospira.
25
     Voi giá vedete ognor, dama gentile
e spiritosa e senza pregiudizio,
che s’allontana alcuno dal badile,
e sale al trono ad un reale uffizio;
e talun ch’era al trono è fatto vile.
Né della sorte si può dar giudizio;
sapete come i pittor la dipingono:
che gira a tutti i soffi che la spingono.
26
     E detto questo, a Ipalca si volgea,
che un rotolo di carta in man portava
lungo sei braccia, ch’ei dato le avea
a tenere, e sul spazzo il sciorinava.
— Io non son menzogner, dama — dicea
Filinor a Mar fisa, che guardava
l’albero suo, ch’ei distendendo g^a,
e pareva un lenzuolo di Golia.