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146 la marfisa bizzarra

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     Legna non ho per cuocer le minestre:
son arsi le architravi e le cornici.
Quelle, ch’eran cortine alle finestre,
• son or camicie a’ miei figli infelici.
Coltrici, drappi e fino alle canestre
son ite al ghetto, pegno a quegli amici;
altro non ho che miserie ed affanni
e lo sperar che Dio mi tronchi gli anni. —
52
     Mentre Angelin piangendo il capo gratta,
Orlando irato a sé chiama Ruggero,
e disse: — Tua sorella mi par matta:
che caso è questo e che nuovo pensiero?
chi è colui che di concorrer tratta
in competenza a questo cavaliero?
Tu doveresti saper ben la storia,
ma tu mi sembri fuor della memoria. —
53
     Disse Rugger: — Per quel sacro battesimo
e’ hai sulla testa, non mi chieder questo.
Io non so piú che sia di me medesimo:
darei pugna, frugoni e calci al vento.
Se sia del paganesmo o cristianesimo
colui, noi so; vederlo vorrei spento:
io ardo, io scoppio; è matta mia sorella;
non ho piú capo, non ho piú cervella. —
54
     Detto cosi, sbuffando come un toro,
volse le spalle e si trasse da un canto.
Marfisa seguitava il suo lavoro,
e porse un memoriale a Dodon santo.
Dodone il lesse, e disse: — Egli è un tesoro,
e sará ricopiato in un mio canto;
il voto mio però non conterete,
se foste assai piú bella che non siete. —