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166 la marfisa bizzarra

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     — Per meno di seimila non sperate,
^^né la persona palesar vi posso
— diceva Gan; — ma se i tremila date,
noi vedrem tosto Filinor riscosso.
— Io non so — dicea l’altra — se sappiate
che in questa casa non dispongo un grosso,
e e’ ho un fratello e una cognata intorno,
che ascoltan prieghi come il ciel del forno. —
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     Risponde Gan: — Se voi saprete fare,
il marchese Terigi è buon cristiano;
io so che gli farete fuor schizzare,
che a lui son come un soldo al g^an soldano.
Gridò Marfisa: — Oh poffare! oh poffare!
si vede ben che sei l’antico Gano,
Di Filinor Terigi è in gelosia.
Questo mi basta. Io t’ho inteso. Va’ via. —
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     Gano levossi, e: — Il ciel vi benedica,
vi lascio con la grazia del Signore —
disse partendo. Or converrá ch’io dica
del marchese Terigi senza core,
che tra il martello e l’amor per l’amica
se gli era liquefatto in un favore.
Dopo la notte della ricreazione
era smagrato trenta libbre buone.
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     S’egli era a mensa, a mezzo non mangiava;
s’egli era a letto, non dormiva un’ora:
ansava, si lagnava, sospirava;
gran pianto gli occhi tondi caccian fuora.
Una bocca facea, che somigliava
le denonzie scerete e peggio ancora;
talor da sé facea qualche lamento,
come gli permetteva il suo talento.