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canto settimo 169

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     — Meritereste — disse — che l’amore
e’ ho per voi se n’andasse alle calcagna.
Mi lasciaste otto giorni contar l’ore,
come s’io fossi qualche vostra cagna.
O un asin siete, o non aete core,
o un core avete fatto di lasagna.
In parola d’onor, meritereste^
le corna, ancor che mille capi aveste.
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     A questo modo si trattan le spose!
senza creanza, rozzo villanzone!
Da dama, paion cose fabulose,
da farvi sii capitolo o canzone.
Fatemi un’altra ancor di queste cose,
perdio! non vi varrá star ginocchione. —
Il marchese rimase stupefatto
e pareva briaco, anzi pur matto.
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     E cominciò: — Illustrissima... — ma quella
non gli lasciava dire una parola.
Ei ripiglia: — Illustrissima... — e pur ella
gli va serrando le sillabe in gola.
— Tacete lá — gridava, e pur martella
che non dovea lasciarla un giorno sola,
e che una sposa, sviscerata amante,
si tratta meglio, e chiamalo forfante,
42
     E perch’ei pur r«illustrissima» intuona,
ella ebbe fínta alcuna lagrimetta.
Terigi allora a un pianto s’abbandona
con una bocca quasi di berretta,
dicendole: — Illustrissima padrona,
per l’amor di Gesú, datemi retta.
Io vi chiedo perdon, ma... — Dopo questo
gl’impedieno i singhiozzi il dire il resto.