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214 la marfisa bizzarra

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     Era quivi in disparte certa suora,
che al remore, alle cose, al parapiglia,
non s’era mai degnata d’uscir fuora,
come chi saviamente si consiglia.
D’una bellezza è tal, che, se in un’ora
la descrivessi, farei maraviglia:
bianca, ben fatta, giovine, d’un viso,
d’un occhio, d’un guardar di paradiso.
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     Se le scolpiva in faccia dell’interno
la contentezza, la quiete vera;
al piú cocente state, al peggior verno,
godea quella forte alma primavera.
Conoscea veramente che l’eterno
Bene desiderabile, e solo, era.
Raccolta mai per monaca richiesta
non avea detto il ver siccome a questa.
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     Al ragionar furente di Marfisa,
bizzarro ed empio e scandaloso e forte,
disse all’altre sorelle in questa guisa
e alla badessa, e’ ha le luci torte:
— Suore, scorgete mai ch’ella è divisa
dal pensar dritto? usciamo delle porte,
e lasciatela in pace, che i rimbrotti
fan mal peggiore ne’ cervei corrotti.
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     Queste parole, ch’ella ha dette, sono
de’ libri suoi moderni, che l’han guasta;
insegnamenti che le han dati in dono
gli spirti forti di novella pasta.
Ugualmente a’ conventi è il secol buono,
ma la rete oggi in quello è troppo vasta.
La rabbia, ch’ella or prova, e la vergogna
son frutti del suo secolo carogna.