Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/237

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canto decimo 227

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     Pareva impolmínato e stanco e fiacco.
A suo bell’agio al romitorio arranca,
laddove giunto, ansando come un bracco,
si metteva a seder sopra un panca,
dicendo ad un romito: — Oh Dio! son stracco;
io sento il respirar proprio mi manca:
da Parigi qui vengo a pie per voto
l’abate santo a ritrovar divoto.
8
     Io sono un cavalier de’ principali,
e vi prego a chiamar l’abate vostro.
Il romitello mise tosto l’ali,
narrando questa cosa per lo chiostro.
Lasciar molti romiti i breviali
pel forestier splendente d’oro e d’ostro.
Se vi ricorda, al suo fuggire, ho detto
che avea ricco vestito e bel farsetto.
9
     Venne l’abate in mezzo a venti frati,
vide il guascone con le guance gialle,
che tenea gli occhi travolti e incantati,
e una gota sur ima delle spalle.
I romiti dicean: — Fra gli ammalati,
che giunti sono in quest’erema valle,
noi non vedemmo un uom di peggior cera;
egli è peccato un si bel giovin péra. —
10
     L’abate chiese a Filinor chi fosse
e da sua jk) verta che desiasse.
Filinoro un pochette si riscosse,
e parve a ragionar che si sforzasse.
— Padre — diss’egli, — divozion mi mosse,
perché l’altre speranze ornai son casse.
Io sono unico figlio d’un signore,
che in me piange sua stirpe che si more.