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canto decimo 229

15
     Non so come per via non sono morto
in questo lungo mio pellegrinaggio.
Ben cento volte caddi a collo torto;
poi sursi ancor, facendomi coraggio.
Ma finalmente sono giunto in porto,
e mi par di sentir qualche messaggio
che dica: — Al segno dell’abate pio
l’inappetenza tua n’andrá con Dio. —
16
     S’io risano, prometto in questo chiostro
far aggiunte di fabbriche e un altare. —
Disse l’abate: — Voglia il Signor nostro
che il segno in nome suo possa giovare.
Direte, figlio, basso un paternostro,
fede ci vuol le grucce per lasciare. —
Recata al frate fu la stola tosto;
l’empio guascone in ginocchion s’è posto.
17
     Comincia i crocioni e le parole
l’abate pio, che gli occhi stralunava.
L’indegno di veder luce di sole
con le sue nocca il petto si picchiava.
Fini r uffízio, quando finir suole.
L’abate ali ’amalato dimandava
com’egli stesse e come si sentisse.
18
     L’empio teneva in lui le luci fisse,
dicendo: — Padre abate, a dirvi il vero,
nello stomaco sento un pizzicore,
che, manicando un bocconcello, spero
si facilmente noi trarrei piú fuore.
— Presto — disse l’abate a frate Piero,
ch’era ivi cuoco e si faceva onore, —
reca qualche sostanza al cavaliere. —
Frate Piero va via come un levriere