Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/265

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canto undecimo 255

31
     Diceva un altro: — Notate voi bene
come fa grande il foco al purgatorio?
come per levar l’alme dalle pene
chiede danar per lui dall’uditorio?
So che cappon, e’ hanno tante di schiene,
purgan nel suo paiuol brobo in martorio,
e che un gran foco nella sua cucina
tormenta ariste di vitella fina.
32
     — Comprendereste voi che voglia dire
quel non rubar? — diceva un villan scaltro.
— V’aggiugni un «ciò che tu non puoi ghermire»,
e tosto intenderai — diceva un altro.
— Naffe! tu parli meglio del Dies trae —
gridavan tutti, — senz’altro, senz’altro. —
Quii villanzon rideano alla distesa
del lor piovan che predicava in chiesa.
33
     Marfisa, con Ipalca uscita anch’ella,
stava ascoltando i villan risvegliati,
e poi diceva alla sua damigella:
— Benedetti i scrittori illuminati!
Diffusa è si la scienza novella,
che son sino i villan spregiudicati:
questi pretacci e fratacci ghiottoni
finito han di strippar co’ lor sermoni. —
34
     Faceva Ipalca il grugno di bertuccia
e rannicchiava il collo nelle spalle,
co’ detti di Marfisa si coruccia,
di Giosafat rammemora la valle.
Un riso alla bizzarra fuori smuccia,
dicendo: — Vatti appiatta nelle stalle.
Come concordi, beata Verdiana,
la santitá col farmi la ruffiana?