Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/279

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canto undecimo 269

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     È saltímbanco, vende teriaca,
guadagna sulla moglie, fa il ruffiano,
e m’ha ficcata questa pastinaca,
il turco, l’assassino, il luterano! —
E pur s’infuria, bestemmia, s’indraca.
Ipalca rispondeva: — Dite piano. —
Ma pure strologando indovinava
per qual ragion Marfisa furiava.
88
     Di quel sospetto nulla piú fa sdegno
a Ipalca, che il sentire il traditore
si fosse sottomesso all’atto indegno
di dar la mano a una cantante e il core.
— Che sia niffian — diceva — io mi rassegno,
ho pazienza che sia ciurmadore;
ma che una cantatrice sposata abbia,
santissimo Gesú, questo fa rabbia.
89
     Io mi sento agghiacciar piú che nel verno.
Una cantante! oh, san Francesco mio!
una donna dannata in sempiterno,
per cui non ha misericordia Dio;
che ha mandate tant’anime all’inferno,
cantando in sul teatro e che so io!
una cantante, una scomunicata!
o Vergine Maria sempre laudata!
90
     S’egli avesse sentito un cappuccino
a predicare un di, com’ho sentito,
e gridare e sudar quell’angelino
contro queste donnacce da prurito,
e a provar che son diavol con l’uncino
sotto il belletto e sotto un bel vestito,
diguazzando una barba veneranda,
le avria il guascon lasciate da una banda. —