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Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/316

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306 la marfisa bizzarra

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     Era un di il nostro pane di frumento,
ed or che ne facciam piú d’una volta,
l’abbiamo nero di saggina a stento,
che il diavol se ne porta la ricolta.
Non abbiam piú né forza né talento,
ogni nostra speranza è ornai sepolta;
guardate pelli secche e abbrustolite,
e giudicate poi di nostre vite.
100
     È ver che andiam talora alla taverna,
perocché il vin sopisce col vapore
quella disperazion che abbiamo interna
del stato nostro, stato di dolore;
che la miseria spegne ogni lucerna
e degenera in vizio traditore. —
Cosi diceano i villan disperati,
che anch’essi eran filosofi svegliati.
101
     Il requiescat conte di Maganza
vide i sudditi oppressi per le vie,
e aveva detto: — Un util d’importanza
puossi anche trar dalle malinconie,
che molta forza ha nell’uom la speranza,
e a Carlo fece aprir le lottane;
che certo egli era un uom da gabinetto
ed un filosofaccio maledetto.
102
     Or, s’era Carlo re de’ pidocchiosi,
con questa maganzese malizietta
lo fu di scalzi, rognosi, tignosi,
di mummie, d’una gente affatto inetta;
perocché i bisognosi ed i viziosi
venduti aveano insino alla berretta,
a quel cento per un, che dalle chiese
passato è alla lusinga maganzese.