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delle tre melarance. | 27 |
Era un bel vedere Tartaglia, e Truffaldino, maravigliati dell’abbondanza dei Poeti. Stupivano di udir ragionare in versi martelliani sino le Fornaie, le Corde, i Cani, i Portoni. Ringraziavano quegli oggetti della loro pietà.
L’uditorio era contentissimo di quella mirabile novità puerile, ed io confesso, che rideva di me medesimo, sentendo l’animo a forza umiliato a godere di quelle immagini fanciullesche, che mi rimettevano nel tempo della mia infanzia.
Usciva la Gigantessa Creonta altissima, e in andrianè. Tartaglia, e Truffaldino all’orribile comparsa fuggivano.
Creonta con un disperato gestire diceva questi disperati versi martelliani, non lasciando d’invocar Pindaro, di cui il Sig. Chiari si vantava confratello:
Ahi ministri infedeli, Corda, Cane, Portone,
Scellerata Fornaia, traditrici persone!
O Melarance dolci! Ahi chi mi v’ha rapite?
Melarance mie care, anime mie, mie vite.
Oimè crepo di rabbia. Tutto mi sento in seno
Il Caos, gli Elementi, il Sol, l’Arcobaleno.
Più non deggio sussistere. O Giove fulminante,
Tuona dal Ciel, m’infrangi dalla zucca alle piante.
Chi mi dà aiuto, Diavoli, chi dal mondo m’invola?
Ecco un amico fulmine, che m’arde e mi consola.
Nessuna parodìa caricata potrà spiegar i sentimenti, e lo stile del Sig. Chiari meglio di quest’ultimo verso.