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CAPITOLO XXII

Assedi e assalti forensi. Separazione indispensabile della famiglia.

Ne’ frequentatori nella casa, buoni o tristi amici, non mancavano de’ causidici coltivatori di risse, e i miei cattolici desidèri, la mia provveduta assistenza e le mie preghiere alla famiglia di passare alla villa, furono col seguente modo compensati.

De’ ministri del fòro, colle loro cattive parrucche e i loro vestimenti da lutto, comparvero nella nostra abitazione. Fecero un inventario insino del piú picciolo chiodo. Chiesi che fosse quella diligenza. Mi si disse che mia madre faceva il legale pagamento della sua dote.

Un altro oscuro ministro m’intimò una dimanda presentata negli atti d’un notaio, chiedente mantenimento e dotazione per le tre mie sorelle rimaste.

Un altro ministro, cieco d’un occhio, m’intimò una dimanda di mille cinquecento ducati per parte di certi mercanti alleati, che avevano date delle gioie, delle drapperie e delle biancherie per le due sorelle maritate.

I due cognati chiedevano in giudizio presso a tremila ducati, residui delle doti promesse, oltre a’ livelli totali stabiliti, di verso quattromila ducati.

Una folla di piccioli creditori, suscitati non so da chi e da me non conosciuti, m’erano a’ fianchi e intimavano de’ sequestri sulle rendite ancora non maturate.

L’aggressione piú maravigliosa e inaspettata fu una dimanda al Magistrato della petizione di circa novecento ducati della moglie di mio fratello, piú litigante della contessa di Pimbecche nella commedia del Racine. Ella chiedeva quella somma che protestava di avanzare per le sue amministrazioni tenute, apparente (ella diceva) da’ conti da noi fatti esaminare, esaminati e firmati, ma ch’ella aveva poscia fatti apparire da quella selva di