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CAPITOLO XXIV

Buon volere tragiversato. Liti attive incominciate.

Studio sul ceto forense.

Sarei stato assai sciocco, se avessi avuta lusinga che le divisioni seguite e le disposizioni firmate conducessero la colomba col ramo dell’olivo nel becco. Aveva giá parato l’animo ad una infinitá di disturbi ed a immollare di sudore piú camicie che non aveva nell’armaio.

Le divisioni avevano sottratte da una irregolare amministrazione tre quarte parti del patrimonio, ma avevano lasciata una asprezza negli animi della famiglia del fratello Gasparo presso che inestinguibile.

Volli por mano nell’archivietto delle scritture della casa, per impossessarmi de’ lumi e delle ragioni comuni in sui fideicommissi alienati e dispersi. Trovai che tutte quelle scritture erano state dispettosamente vendute, non so da chi, e mi fu additato soltanto da una fante, in gran secretezza, qual pizzicagnolo le aveva comperate a peso.

Corsi da quel vendisalsiccia, e fui solo a tempo di ricuperare a buon patto alcuni sommari e alcuni testamenti che non avevano ancora involto prosciutto. Non ho colpa se questo tragico accidente, di tanta conseguenza che doveva far piangere, fece in me un effetto contrario.

Cercando lumi da’ lumi, razzolando ne’ scrittoi degli avvocati, de’ notai, de’ pubblici archivi colla scorta di vecchi sommari, fui indefesso a segno di porre in assetto piú di ottanta gran processi di scritture, in gran parte copiati dalla mia penna, come può vedere chi vive e potrá vedere chi resta dopo la mia morte nelle canzerie del mio albergo. Studiai le mie ragioni e m’apparecchiai a proporle sotto al parere de’ giudici.