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200 memorie inutili

filosofico, e usando quel medesimo vocabolo di «pregiudizio», che ha introdotta la corruttela, pregiudicato e guasto il costume morale ed economico delle famiglie e de’ popoli, beffeggiò come «pregiudicati» tutti quelli che studiavano sul vero, chiamandoli stitici parolai perduti sopra a’ scrittori agghiacciati, languidi e sterili, accordando a Dante immortale, senza intenderlo, soltanto pochi versi e poche immagini felici nel mezzo a un immenso pelago di scurrilitá e di durezze stomachevoli.

Questo preteso innovatore, che forse aveva ragione a combattere l’uso delle raccolte di poesie che si accostumano alle monacazioni, a’ nodi maritali ed alle esaltazioni de’ Grandi, per quella noia che recano cogli assedi agli scrittori, quantunque un tal uso non sia dannoso, illustri le famiglie, tenga in un esercizio filologico e in emulazione la gioventú e faccia spargere dalla mano de’ ricchi un soccorso al vitto de’ poveri artisti, fece stampare un suo poemetto intitolato Le raccolte, per estinguere l’uso di quelle e per dare un saggio della sua fantasia originale.

Sin da quel tempo, in cui io era molto giovine, la nostra faceta assemblea granellesca vide con sguardo sorridente i fenomeni strani del signor Bettinelli e si dispose ad un passatempo gioviale per rintuzzarli.

Il signor Marco Forcellini, uomo erudito, e il signor abate dottore Natale dalle Laste, uomo dottissimo ed accuratissimo, sozi della nostra accademia, presero ad esaminare il poemetto del Bettinelli, e dibucciando i di lui marroni infiniti e svelando agli occhi del pubblico che l’autore di quell’opera, il quale voleva apparire originale poeta gigante, non era che un servile plagiario dell’Ariosto e di Boelò, posero in assetto un opuscolo critico giudizioso intitolato: Parere sopra al «Poemetto delle raccolte».

Siccome parve all’accademia nostra, il di cui istituto era lo scherzare, che quel Parere tenesse aspetto di troppa serietá, fu ordinato a me di rallegrarlo con un’epistoletta d’aggiunta scherzevole. Fui obbediente agli ordini della presidenza accademica, e scrissi quell’epistola come il mio scarso ingegno me l’ha dettata, e forse troppo audace e pungente. Quel Parere e quell’Epistola d’aggiunta furono dati alle stampe.