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CAPITOLO XIII

Amara correzione nata dal caso, da me data alla bella Tonina,

e mia riconciliazione con quella giovane.

Una sera dell’ultimo carnovale, ch’era il terzo del mio triennio, al cui termine mancavano intorno a sette mesi, si faceva una farsa all’improvviso nel teatro della corte, alla richiesta del provveditor generale, ed erano ordinati da noi militari una cena e un festino da ballo in una sala privata, per passare la notte allegra dopo la recita della farsa. In quella farsa io era «Luce», mal maritata con Pantalone vizioso, rotto e fallito.

Era ridotta in un’estrema indigenza ed aveva una figliuoletta nelle fasce, frutto del mio matrimonio.

In una scena notturna d’un mio soliloquio cunava io la mia prole. Cantava io un canzoncino per farla addormentare. Questo canzoncino era interrotto dalla narrazione delle mie disgrazie, con de’ tratti che facevano molto ridere i spettatori.

La storia ch’io raccontava; le ragioni per le quali era discesa a sposare un vecchio; i miei accidenti; le mie sofferenze esposte con de’ monosillabi della modestia; la descrizione del bel pezzo di femmina ch’era stata e della carogna ch’era divenuta, cagionavano continue risa e continue picchiate di mano.

Mi lagnava del freddo, della fame, de’ mali trattamenti. Non faceva il bisogno di latte per nodrire la figlia, e il poco che faceva era non salubre, anzi venefico per le rabbie e per i patimenti che sopportava. Questo cattivo latte facea de’ dolori di ventre al mio bene, parto dalle mie viscere, ed egli belava tutta la notte come una pecora, né mi lasciava chiuder occhio.

La notte era assai avanzata. Attendeva il vecchio matto di mio marito, che mai non veniva. Sospettava ch’egli fosse nella calle del Pozzetto, che a Zara in quel tempo era una via nota da