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parte seconda - capitolo xxxi 51


Questi ed altri consimili anzi peggiori discorsi arrischiati e schifi erano le matte intuonazioni ed esclamazioni serali della Ricci alla presenza di forse venti persone, allorché seppe gli ordini che correvano sul dramma da lei querelato.

Non v’era nessuno che non sapesse ch’ella non conosceva punto né poco que’ personaggi rispettati universalmente, ch’ella nominava e caratterizzava senza riserva e de’ quali parlava con una cosí sbrigliata sfacciataggine, e non v’era nessuno che non vedesse ch’ella era il pappagallo discepolo del Gratarol e delle conversazioni caute e morigerate ch’egli aveva tenute con lei sui detti propositi.

Io raccapricciava per quel signore ascoltandola, ma siccome m’era prefisso di non mai cambiar parole su quell’argomento per non udir cosa che mi tirasse a qualche imprudenza, stava taciturno perpetuamente.

Condannava però nel mio interno la leggerezza e la incautela del Gratarol. Chi poteva non giudicarlo infiammato il cerebro ed ebbro d’una collera di cui egli medesimo s’era generata la causa? S’egli non si vergognava ad affidare delle libellatrici esagerazioni arrabbiate contro a’ possenti ch’egli aveva necessitá di coltivare, a una comica, chi mi sa dire con quante semicomiche e con quanti semiamici avrá sfogata la sua bile pericolosa?

Considerava tra me che un secretario d’un senato, eletto residente ad un monarca, a sfogare la bile del suo cervello con una gazza scenica a cui s’era fatto dipendente con notabile debolezza, lo palesasse mal atto a’ rematici uffizi di secretario e di residente. Paleso persino un mio giudizio che può essere stato giudizio temerario.

Giudicava nel mio secreto con del rincrescimento che le sue detrazioni bastanti ad irritare qualunque animo pacifico, da lui esalate non solo con una comica ma con molte semicomiche e molti semiamici imbrogliatori delle private societá, adulatori e bilingui, dovessero rimanere occulte com’erano rimasti occulti i passi ch’egli aveva fatti per impedire che il mio dramma