Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/31

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CAP. II.

DELLE PAROLE

Qualunque numero di lettere unite insieme esprima qualche cosa, si chiama parola, e con termine latino voce o vocabolo. Anche due lettere, e pure una sola può essere una parola, come sì, no, è. Questo vocabolo, parola, è uno dei molti, come giorno, motto, buio, sciocco, pazzo, zucca etc., che appartengono proprio in origine alla lingua italiana, la quale è mia opinione esser più antica che la latina; benchè forse non le sia rimasta se non la decima parte dell’originale; perciò che fin dall’infanzia dell’Impero Romano, col quale si può supporre aver avuto principio la lingua latina, v’erano i Toscani, i quali non è da dubitare che avessero un idioma, siccome quelli che già avevano instituzioni civili. Come poi la dominazione de’ Romani fece degli Italiani un sol popolo, tutti convennero nella medesima lingua romana; la quale sarà poi stata fino alla decadenza dell’impero, la lingua cortigiana e generale; senza che per questo si dimenticasse del tutto in Toscana l’antico volgare. Quanto ai barbari che inondarono l’Italia, poichè non distrussero la lingua latina, possono aver lasciata anche la traccia di questo antico toscano dialetto; il quale, amplificato in seguito col latino, e coi vocaboli che si usavano nel decimoterzo secolo in tutta l’Italia, parte nazionali, e parte introdotti dai barbari; come per esempio snello da schnell, scherzo da scherz, scodella da teller, recatici dagli Un-