Pagina:Gramsci - Quaderni del carcere, Einaudi, III.djvu/515

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2016 QUADERNO 19 (x) era riuscito a impadronirsi di una serie di concetti politicomilitari posti in circolazione dalle esperienze guerresche della rivoluzione francese e di Napoleone, trapiantati a Napoli sotto i regni di Giuseppe Buonaparte e di Gioacchino Murât, ma specialmente per l’esperienza viva degli ufficiali napoletani che avevano militato con Napoleone (nella commemorazione di Cadorna fatta da M. Missiroli nella «Nuova Antologia» si insiste sull’importanza che tale esperienza e tradizione militare napoletana, attraverso il Pianell, per esempio, ebbe nella riorganizzazione dell’esercito italiano dopo il 1870)6; Pisacane comprese che senza una politica democratica non si possono avere eserciti nazionali a coscrizione obbligatoria, ma è inspiegabile la sua avversione contro la strategia di Garibaldi e la sua diffidenza contro Garibaldi; egli ha verso Garibaldi lo stesso atteggiamento sprezzante che avevano verso Napoleone gli Stati Maggiori dell’antico regime. L’individualità che più oc|corre studiare per questi problemi del Risorgimento è Giuseppe Ferrari, ma non tanto nelle sue opere cosi dette maggiori, veri zibaldoni farraginosi e confusi, quanto negli opuscoli d’occasione e nelle lettere \ Il Ferrari però era in gran parte fuori della concreta realtà italiana: si era troppo infranciosato. Spesso i suoi giudizi paiono più acuti di ciò che realmente sono, perché egli applicava all’Italia schemi francesi, i quali rappresentavano situazioni ben più avanzate di quelle italiane. Si può dire che il Ferrari si trovava, nei confronti con l’Italia, nella posizione di un-«postero» e che il suo fosse in un certo senso un «senno del poi». Il politico invece deve essere un realizzatore effettuale ed attuale; il Ferrari non vedeva che tra la situazione italiana e quella francese mancava un anello intermedio e che proprio questo anello importava saldare per passare a quello successivo8. Il Ferrari non seppe «tradurre » il francese in italiano e perciò la sua stessa « acutezza » diventava un elemento di confusione, suscitava nuove sette e scolette ma non incideva nel movimento reale. Se si approfondisce la quistione appare che, per molti riguardi, la differenza tra molti uomini del Partito d’Azione e i moderati era più di « temperamento » che di carattere or¬