Pagina:Guarini, Battista – Il Pastor fido e il Compendio della poesia tragicomica, 1914 – BEIC 1841856.djvu/245

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gravi che possa avere chi altamente è nato. Ma esso non le sente, anzi prega che quanto prima sia condotto fuori della cittá, lasciando il regno a Creonte, si come a lui ricaduto per morte sua non naturale, ma civile. Né altra cosa il tormenta che il parricidio e lo ’ncesto, vedendosi in quelle colpe caduto tanto nefande e da lui si grandemente abborrite, che prima, per la sua interna giustizia, si sarebbe dato la morte che vo- lontariamente commetterle. Quest’orrore, questa infamia l’oc- cupa tanto, che si scorda d’ogn’altro danno; questo dolore l’accuora si, che non sente la perdita né degli occhi, né della patria, né dello scettro regale, e parla delle sue pene interne, come se nell’esterno non sentisse dolore e perdita alcuna. Spet- tacolo che ci fa ravvedere delle nostre infermitá e, a coloro che temono si grandemente il morire, fa chiaramente conoscere che l’umana natura ha cosa piú terribile della morte, della quale se si dé’ pur temere, di quellasola dell’animo dé’ temersi, poiché quella del corpo a paragon di lei diviene quasi insensibile. Il mede- simo documento ci dá pur anche Sofocle ne\V Aiace, tormentato sol dalla ’nfamia, nella quale a lui pare d’esser caduto per la pazzia, che pure è morte dell’anima, che lo spinse a tórsi la vita, non volendo vivere alla natura, essendo morto all’onore. Lo stesso pur s’impara ancor nell ’Antigone e nell’ Efigenia, per- ciocché, per lo bene adoprare, eh’è la vita dell’anima, l’una nel seppellire il fratello e l’altra nel procurare il ben pubblico, non ’ curano né il danno né il pericolo della morte del corpo. E cosi, di- scorrendo per tutte l’altre che sono buone tragedie, come che po- che se ne veggan di tali, si troverá che ’l terrore purga di questo modo il terrore, avvengaché alcune piú, alcune meno, secondo ch’elle, o per la favola o per l’artifizio del poeta, sono piú e meno perfette. Ma qui potrebbe nascere un dubbio, il quale è bene che si risolva, perciocché nel trattato «Della fortezza» Aristotile non riceve per atto vertuoso il darsi la morte; onde si porria dire che la tragedia,- insegnando di cader nel peccato, non pur- gasse ben gli animi, ma piú tosto gli corrompesse. A che si può rispondere in due maniere: l’una è che ’l filosofo non ri- prende coloro che per fuggir la ’nfamia o per coscienza del