tutti i servi diventati padroni. E tu che mi leggi,
ricorda come un popolano, anzi plebeo, erpicato un
dì nei Consigli della Corona, a mo’ di zucca sopra la
pergola, immaginasse la vendita dei titoli di nobiltà,
e ne prescrivesse la tariffa: egli pose a prezzo l’onore,
nella stessa guisa che la Curia romana ci aveva messo
il paradiso con la vendita delle indulgenze: così mentre
la nuova nobilea niente acquista che turpe non sia,
la vecchia perde il pochissimo lustro che le avanza.
Una volta l’antica nobiltà era in parte rispettata,
col manto orrevole di fodera di vaio spelacchiata,
tanto la sua figura la faceva; adesso la, nuova, infagottata
nei mantelli, col soppanno di pelle di gatto
di fresco scorticato, pone parecchia buona gente in
sospetto della propria pelle. Un dì i nobili vecchi
disprezzavano i nuovi, e non a torto: oggi i vecchi
ed i nuovi si disprezzano vicendevolmente, e a ragione.
Una volta i nobili vecchi mandavano fuori
a correre il palio titoli e servitù, i nobili nuovi ci
hanno aggiunta una puledra che si chiama Rapina.
Affermano che il Giusti (il gran cantore toscano,
che dal bellico in giù fu moderato e dal bellico in
su rivoluzionario, fiera divina1), quando cantò di
un pirata in cappamagna, pigliasse la mira sopra
un tale dei tali, per me credo ch’egli intendesse
bersagliare tutta la classe dei pubblicani.
- ↑ Parini, ode Educazione.