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Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore I.djvu/85

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capitolo i. 63


finita famiglia dogli scrocchi, ondo si accorcia la via della fortuna, e poi senza ordinare nulla di preciso aggiungeva: «Io vorrei essere inteso, figliuoli miei, a volo, che tutto non si può dire; il mondo è di chi so lo piglia, e per fare roba presto, bisogna avere un parente a casa del diavolo.»

E il giorno stesso noi quale aveva dato al giovane uno spintone verso la galera a vita, egli era fantino da mandargli di mancia un cento o duecento lire per sopperire ai bisogni di casa sua, accompagnandole con una lettera gremita di buoni consigli e di salutari avvertimenti da disgradarne una serqua di missionari; la quale egli aveva cura di riportare sul copia lettere del banco, e ciò pel medesimo fine per cui gli accorti capitani nel presagio della difosa muniscono le rocche. Così addestrato, il nostro cane, uomo spontaneo o sguinzagliato, irrompeva nello bandite del codice penale, donde tornando con qualche truffa in bocca glie l’agguantavano Omobono, o gli sbirri; finchè raccoglieva Omobono, la faccenda andava a pennello; se il disgraziato capitava in mano al bargello, era un altro paio di maniche: allora Omobono non rifiniva d’imprecare alla corruttela dei tempi, lo lettere di ammonimento scritte al giovane mostrava a chi voleva, ed a cui non lo voleva vedere:

«Come si fa? bisbigliava in modo che lo sentissero tutti; gran brutta dote mi donò natura, col