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28 | il secolo che muore |
masticare la Italia ci lasciarono i denti; il macinato macinò la macina; un popolo che non intende morire, che non si può far morire, gli è pure di necessità che tosto o tardi rifiorisca nella sua potenza vitale.
A questi giorni saltò su un Pallavicini sindaco di Roma; a lui non fu amica la fama, ma s’ella porgesse il vero, o piuttosto il falso, ignoro; questo so, che avendo egli mandato fuori una grida alla libera ci affermava: gli uomini d’ingegno essere stati quelli che hanno ristorato la fortuna italica; dopo tra i fattori della unità nostra, mette ancora la monarchia: si sa, questa finchè lo Stato nostro duri monarchico, ha da incastrare dentro tutti gli atti officiali, come il gloria in fondo ai salmi, e l’amen ai piedi degli oremus; nel manifesto del sindaco Pallavicini bandito in occasione
del balenar che fece il rege a Roma
ci cascava come una rima obbligata. Pertanto il Napoleonide giudicò oggimai fatale la ricostruzione della Italia a Stato uno e potente.
Nè diverso egli ebbe a giudicare della Germania, tenace anch’essa nei suoi propositi ed irrequieta per ricuperare potenza da lei più che dall’Italia prossimamente goduta e perduta. Da parecchio tempo si faceva palese come o l’Austria, o la Prussia sarebbe spinta dai casi a formare lo impero germanico, e poichè l’una inciampava l’altra, una delle