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304 il secolo che muore


marmeggia pensionata, ei si rodeva a Torino la paga.

Più audace di tutti un gobbino; costui aveva davanti a se una maniera di mastodonte umano; al povero gobbo pareva proprio essere Giuseppe Ebreo nella cisterna vuota: ricercando qualche partito per venire a galla ancli’egli, non rinvenne meglio di questo: aiutandosi colla testata di una panca si arrampica sulle spallaccie del gigante e quivi si appollaia: pareva una scimmia sulla groppa ad un cammello; ne rise prima uno, poi dieci, cento, tutto il teatro all’improvviso rimbomba di altissimi scoppi di risa.

Intanto l’impresario esce da capo di scancio fuori delle quinte, e fatto arco della persona, apre le braccia a mo’ del prete quando compartisce ai devoti il domine vobiscum, e così saluta il pubblico per la prima volta; quindi, mutati alquanti nuovi passi sempre a schisa, replica nel medesimo modo il secondo saluto, per ultimo il terzo proprio sulla buca del rammentatore.

— Zitto! Silenzio! L’impresario sta per parlare.

— Impossibile!

— Signori! incomincia l’impresario, industriandosi a mettere nella voce un po’ di pianto.

— Perchè impossibile? In Giudea parlarono gli asini.

— Chiedo scusa: era un asino.