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372 il secolo che muore


istate a immaginare che io abbia fatto Isabella calamita di disgrazie, ovvero che ella medesima avesse il costume di murarsi nel forno; no, il destino l’aveva tolta a bersaglio; come a quella della Parca alla sua rocca non mancava mai filo; aveva filato a mezzo una sventura, che la fortuna le ci apponeva subito canapa per un’altra: eppure durava: per poco tu avessi posato gli occhi su lei, ecco ti appariva quasi una quercia tocca dal fuoco celeste; la striscia della folgore ne solca la corteccia; questi sono gli stianti di cui l’ha ferita la saetta; le foglie ingombrano la valle e il piano, i rami le giacciono dintorno al tutto morti; certo ella non aspetta più la gloria delle mêssi primaverili, e nondimanco illesa nella midolla si ripromette per molti anni ancora offrire ombre contro gli ardori della canicola e asilo alla rabbia della tempesta.

Anche la speranza talora abbranca tenace come una furia; finche jduò, onde allettarti a continuare nel doloroso tramite, coglie i fiori più freschi e te ne spruzza la rugiada sul viso; mancati i fiori, onde tu non cessi, ora ti cava una spina dai piedi, ed ora ti remuove le pietruzze taglienti dal sentiero, e tanto basta all’uomo per tirare innanzi, finchè incespichi nel rialto di terra scavato dalla fossa, e ci trabocchi dentro. E neppure allora si induce a lasciarlo la speranza, che, seduta sopra la lapide del sepolcro, ci si mette a cantare l’inno