più severi vollero mettersi da parte, come quelli che andando convinti la monarchia non potere vivere se non di sangue della libertà, pure aborrivano, per compiacere ai propri concetti, mettere a subbuglio l’ordine pubblico; così la monarchia non avversata avrebbe potuto fare le sue prove seguendo il corso delle vicende umane. Colpa o fortuna (ma si reputò colpa) in breve parve la prova fatta; la monarchia giudicata; opera perniciosa patirla; peggio aiutarla. Ecco, affermarono i repubblicani, per maligna virtù della monarchia la Italia annega dentro un pantano- di viltà due cotanti più funesta delle vecchie e molteplici tirannidi: di libertà non parliamo, e nè di senno amministrativo, e di virtù militare, nè di tutto quello onde un popolo fiorisce in casa e sale in fama fuori, e conchiusero rispetto alla monarchia a mo’ di Catone Seniore in odio a Cartagine: Monarchia delenda est. Però, ripigliando le armi contro la monarchia, i repubblicani non si son o trovati d’accordo sul modo di combatterla non ci cadde screzio, ma nè anche vi ha concerto: vecchi taluni, molti i giovani, e ogni dì crescenti. I primi, secondochè la esperienza li persuade, assai si ripromettono dal tempo, che matura i frutti della repubblica tanto al sole della libertà, quanto col fracidume dei regali strami; gli altri scalpitano impazienti, di nulla si fidano che non sia taglio di spada e di niente si compiacciono se non sia scerpato di