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192 | il secolo che muore |
concepito nella sua mente, Fabrizio pensò alla necessità suprema di ricuperare cotesti fogli; quindi di notte tempo avuti a sè un giudice istruttore e parecchi giandarmi, ordinava loro che in quella medesima notte eseguissero alla chetichella diligentissima perquisizione in casa Sotero; non omettessero stanza nè stambugino, nè per opposizione alcuna si arrestassero; ed essendosi accorto che il giudice d’istruzione esitasse, come quegli a cui pareva, e non lo tacque, che la cosa non procedesse a termine di legge, Fabrizio gli disse:
— La non si confonda, così siamo intesi con chi fa la legge, ed io piglio tutto sopra di me; solo raccomando discretezza.
Come venne loro ordinato, il giudice istruttore e i giandarmi eseguirono con garbo bellissimo e precauzioni infinite, onde i casigliani non si accorgessero dell’accidente. Rovistarono, rimuginarono fino a farsi colare il sudore dentro le scarpe, ma non rinvennero nulla. All’ultimo, dopo quattro e più ore di ricerche inutili, presero, per non parere, un fascio di carte come venivano venivano, e il giudice piegato il capo all’orecchio di Sotero gli sussurrò:
— Sono dolente...
— Ho inteso, rispose Sotero, le hanno dato l’incarico di menarmi in prigione? — E rideva, perchè hassi da avvertire che costui, fino dal principio della perquisizione, non aveva smesso di ridere,