Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore III.djvu/265

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capitolo xviii. 263


al suo computista, che saranno acconciate le scritture in guisa d’apparire io debitore di parecchi milioni alla ragione di lui, e ciò per dare, se gli riesce, un po’ di vernice alle oblique operazioni dentro le quali egli si era abbandonato a testa bassa: mi pare di vedere ch’egli in fine de’ conti altro non farà che insaccare nebbia; poco filo è il mio per poter bastare al rammendo dei suoi strappi: pure io non mi devo per questo tirarmi indietro da sagrifìcarmi per lui. Amina mia, amore e gratitudine non conoscono abbaco nè seste; perchè se prima di pagare il debito avvenga ch’essi si pongano a fare i conti, va’ pur sicura che essi non finiranno mai il calcolo. Vivrò ramingo come potrò... e quando l’acerbità del dolore di averti perduta... perduta per sempre... e il peso della infamia immeritata mi si farà insopportabile... e il tedio dello esilio avrà roso ogni fibra vitale del mio cuore, quando infine le cause del morire supereranno quelle del vivere, allora, chiesto prima perdono a Dio, col tuo nome su le labbra, mia adorata Amina, io mi farò dire da una palla nel cranio: tu hai vissuto abbastanza — Noi moriremo insieme! esclama Amina, e nello impeto sfrenato dell’entusiasmo con ambedue le mani strigne il capo di Omobono, e la sua bocca salda alla bocca di lui, talchè sembra volerci riversare la propria anima; per lunga ora la passione soverchia non concesse loro pronunziare parola: