Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore III.djvu/269

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capitolo xviii. 267


convulsi e la più parte degli uomini renunzia alla eternità, come a cosa troppo lunga, sarei maldestro se riportassi punto per punto la orazione di Amina; in corti accenti ve ne spremerò il sugo. Dapprima ella distinse il padre dall’avo; i doveri verso colui che ci generò non si possono estendere ad altri, e s’intende da sè che l’atto generativo non si opera per delegazione, nè si crea con la immaginativa: e mise innanzi altresì una nuova distinzione fra l’avo paterno e il materno; più cosa il primo, imperciocchè di lui portiamo il nome e produciamo la famiglia, ond’ella tenere per fede che padre veramente non sia quegli che le giuste nozze dimostrano, bensì colui che ci nudrì fanciulli, educò giovani, uomini sovvenne e sempre amò. Ora, qual cura e quali i benefìzi dell’avo materno verso di lui? Egli lo scelse per comodità propria come un cavallo o un cane; ma per uso mille volte peggiore, perchè al cavallo non si chiede altro che correre, al cane abbaiare, mentre adesso l’avo esige dal nepote cose contro la natura, le leggi ed i buoni costumi. In tempi barbarissimi i padri si fecero padroni della vita dei figliuoli, non però mai dell’onore. Anche Dio non andò più in là che chiedere ad Abramo tagliasse la gola al figliuolo Isacco, e Abramo, se avesse mandato pei giandarmi e fatto arrestare Dio come istigatore di parricidio, si sarebbe meritato la croce della Corona d’Italia: ma