Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore III.djvu/304

Da Wikisource.
302 il secolo che muore


me, non credo ne discredo: il futuro mi si para davanti come la nicchia della immagine d’Iside coperta da una tenda nera; solo quando abbiamo varcato la soglia della vita, la morte tira la cortina; allora, e allora soltanto, sarà conosciuto se di là splenda la luce, oppure abbui la tenebra eterna. Oltre al sepolcro i sacerdoti augurano perpetua la luce e la quiete: a noi giovi trovarci l’una e l’altra; che se tanto non ci consentono i fati, la requie eterna mi basta.

— Io poi — favellò Amina — su questo proposito non ho ragionato mai, e creduto sempre, lasciandomi in balia delle prime impressioni della infanzia: grande per me fu eccitamento al bene e freno al male il pensiero che, invisibile misurando i suoi ai passi miei, mi veniva allato un angiolo buono, il quale del mio lodevole operare esultava e del mio illaudabile si affliggeva. Sarà ch’io m’inganni, ma concetto proprio divino e fonte inestimabile di bene reputai la fede, che non solo le nostre azioni, ma i pensieri non pur nati ma per nascere sieno tutti dipinti nel cospetto eterno, allo scopo di conformarci in guisa che neanche la tentazione si affacci al nostro spirito, perchè s’è meritorio combattere la tentazione quando è sorta, credo più sano impedire che sorga. Dunque tu non ti avrai per male che io mi apparecchi alla morte con la confessione e la eucarestia.