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318 il secolo che muore


della natura non seppero suscitare in cotesta materia pensiero che non fosse degno della più trista materia; le venne fatto di volgere il viso in su e contemplare le stelle; le guardò un pezzo e finì col borbottare: «o non sarebbe stato meglio che il Creatore mettesse lassù in cielo, in iscambio di stelle, tanti marenghi, e due volte l’anno, per San Martino e per San Lorenzo, li facesse piovere in casa mia?»1 Impaziente di più lunga dimora, cerca, trova la casa di Amina e si nasconde dentro una folta siepe di allori: appunta gli occhi e mira dallo interno trasparire un chiarore fioco, che talora si oscura. Non le consentendo la inquietudine di restarsi più oltre ferma, rifà i passi, torna al giardino, consulta l’orologio; — sono le dieci. — Ah! ore maledette, bisbiglia, e con le mani fa l’atto delle pollaiole quando strozzano le galline; e credo anch’io che costei, se avesse potuto, avrebbe strozzato un paio di ore: si propose ricondursi sul posto camminando adagio, ma le furono novelle; dopo venti passi ripiglia la corsa più celere di prima; arriva; ah! il lume, il lume risplende smagliante alla finestra. Se io paragonassi adesso il suo incedere al volo della rondine, io direi poco; adagio adagio venne calato un involto; ella si rizza in punta di piedi, leva quanto più può le mani per agguantarlo: — ah! lo tengo,

  1. Sono le notti in cui piovono dal cielo le stelle cadenti.