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360 | il secolo che muore |
anche più sicuro di quello, ed è la fossa; posta anche questa in mano al giudice; ma egli la serba per le feste solenni; il pane quotidiano della giustizia è la carcere.
Il vento etesio sorse e si levò da Nervi. La pretoressa facilmente indulgendo alla smania materna, di vedere le sue creature vestite con garbo, fu sollecita a chiamare il più rinomato sarto di Nervi e ordinargli una muta di vesti co’ fiocchi pei suoi bambini. Il sarto non ci andava di buone gambe, come quello che la conosceva più povera di Giobbe, ma siccome la sapeva altresì proba e discreta femmina, si attentò ad arrisicare; da un lato lo trasse la sete del guadagno, dall’altro il pensiero che, trattandosi di panno ordinario e da estate, la batteva in poco. Il sarto fece gli abiti e li portò. Io renunzio a descrivere la beatitudine della madre: agguantò uno dopo l’altro i suoi scimmiotti per lavarli, e con la promessa del vestito nuovo lasciaronsi fare: il sarto, coadiuvato dalla pretoressa, gli indossava ai fanciulli; la madre si struggeva per la contentezza; gli parevano tanti dogi; eglino stessi rimasero un momento attoniti di tanta magnificenza: un momento, che indi a breve tornarono a tempestare peggio di prima. Il sarto, vista la mala parata, cavò subito il conto fuori di tasca, e premesse non so quali parole circa la malignità dei tempi, le strettezze della sua borsa, i mirifici vantaggi del