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capitolo xvi. | 97 |
— Qui non e’ è casi; bisogna venirne all’acqua chiara; buttiamo giù buffa, i rispetti mandiamoli a casa, e chi ne tocca le sono sue: non vi state a confondere, senza forti esempi la libertà non ci si fonda; il maestro della me’ bimba, don Trabocchetto pievano della Decipula, l’altra sera raccontava in cucina ai contadini il caso di Tito Manlio Torquato, senatore, il quale, udendo i legati della Macedonia mettere querela in Senato contro il suo figliuolo Decimo Silano per concussione nel governo di cotesta provincia, chiese ed ottenne giudicare egli solo la causa: due giorni dopo, udite le accuse e le difese, sentenziava: «essendomi provato che Silano me’ figlio abbia estorto danaro dagli alleati, lo dichiaro indegno della Repubblica e di me, e lo bandisco perpetuamente dalla mia presenza.»1 Silano per disperazione nella notte veniente si ammazzò. Capite? A quei tempi non si mondava nespolo. Né voi altri costà mi stato a belare come cotesti esempi si attagliuo a me, predicato da tutti l’uomo di ferro, perchè anche il mitissimo Gesù che cosa lasciò scritto nel Vangelo? Se il tuo occhio ti fa intoppare, cavalo e gittalo via da te, meglio è per te entrare nella vita con un occhio solo, che averne due e andare in perdizione. Dunque voi avete inteso: addosso ai ladri!
Al mal capitato Probo incominciò a entrare in