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212 il secolo che muore


pegno dilettissimo di cara moglie defunta: ella essersi accesa di veemente amore per un giovane dabbene che di pari amore la ricambiava: annuente il padre essersi promessi sposi, anzi avere stabilito il di delle nozze. Ora trovandosi il giovane in compagnia di certo suo amico a passare sotto le case in demolizione su la piazza del Duomo, un ponte rovinando dall’alto era venuto a cascare sopra i due poveri giovani, di cui uno investito da un grosso trave sul capo rimase sul tiro; l’altro, il genero di Filippo, stramazzò svenuto e malconcio, non morto; però lì per lì giudicarono morti ambedue. Il capo maestro muratore, ch’era della contrada dove abitavano cotesti meschini, rimescolato corre a casa e racconta il fatto alla moglie, la quale si affaccia alla finestra e trasmette in meno che si dice un credo la notizia alle comari; una di queste, zotica, che troppo spiacerebbe imaginarla maligna, la spara a bruciapelo alla fidanzata, la quale, come percossa da folgore, casca priva di sentimento; dopo molta ora, e quando pareva ogni maniera soccorsi adoperata invano, ecco ella si trova ad avere ricuperato i sensi e perduto la vista.

— La vista! esclama il dottore; e non ci vede proprio più briciolo?

— Dite su, Filippo, ordina la Isabella al sergente, il quale non rispose la prima volta, distratto a pensare che se tanto allo improvviso la signora Isabella,