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capitolo xxiii. | 261 |
barca, la quale avrebbe cavatola voglia di entrarci anche alle ombre dei clienti di Caronte. Per giunta traccia di navalestri non si vedeva: cerca e ricerca, alfine venne lor fatto di scorgere accoccolate dentro il cavo di un albero smisurato due creature, che essi su quel subito non seppero a quale famiglia di bestie assegnare: avevano la pelle di una tinta, che colore onestamente non si sarebbe potuto dire, non castagno, nero neppure, piuttosto un miscuglio di molte maniere di sudiciumi: i capelli cenerini; ignudi erano, se togli una fascia traverso il corpo pendente giù fino a mezzo le cosce; grimi, pieni di schianze, orribili a vedersi. Stettero in forse di volgere loro la favella, ma pel gran bisogno che ne avevano ci si arrischiarono interrogandoli chi fossero: — uno di quelli, e propriamente colui che poteva supporsi uomo, rispose:
— Siamo gente libera come vostra signoria, nel caso che siate uomo libero, cittadini della Unione Americana e barcaioli di mestiere al servizio di vostra signoria.
— E dove abitano le loro eccellenze?
— Il nostro domicilio è qui.
— In questo buco?
— In questo buco.
— Dove siete nati?
— Chi lo sa!
— Vi ci menarono di fuori?