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Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore IV.djvu/322

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294 il secolo che muore


vano in furia il terreno, come se volessero scavare una fossa per nascondercisi dentro: insomma a nessuno riuscì abbonire il proprio cavallo, tanto da poterci saltare su in groj)pa e scappare; invece parecchi rimasero malconci dai morsi e dai calci; la più parte aveva spulezzato, ma una dozzina di assalitori teneva fermo nella speranza di vendicare ad un punto le vecchie ingiurie e le nuove.

Quando i peoni, data la via alle fiere, si condussero nella sala di entratura, ci trovarono il padrone ed i suoi amici; il padrone intanto aveva osservato dalle feritoie come i nemici, più impronti delle mosche, scacciati, tornassero caparbi alle offese; onde gli parve metter fine alla triste avventura, che le cose lunghe diventano serpi; con questo intento favellò ai compagni:

— Orsù, lo indugio piglia vizio, perchè la fodera di ferro delle porte arroventandosi può agevolmente bruciare il legname che fascia e lasciare libero il passo; facciamo uniti una sortita e finiamo di ammazzare cotesti marrani scomunicati.

— Salvo vostro onore, don Giacinto si credè in debito avvertire, cotesti hidalghi non sono scomunicati, molto meno marrani, bensì cristiani battezzati come vostra signoria e come me; salvo sono cristianacci.

— Come le piace, don Giacinto; però gente da mettersi in quarti, e non sarebbe il loro avere.