Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore IV.djvu/65

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capitolo xx.


sare, la padrona, rimasta immobile per la paura, senza neppure accorgersene, e più che scendere sdrucciola le scale roteando sopra se stesso.

Aveva perduto il cappello; dava del capo dentro le cantonate, investiva i passeggeri, che gli dicevano improperi, e taluno fu a un pelo di dargliene un carpiccio delle buone. Lo salvarono le spie messegli dietro dal conte, le quali, presolo in mezzo, e preservandolo dagl’insulti, lo ricondussero incolume al tribunale.

Qui, chiuso nella sua stanza, Fabrizio, appoggiati i gomiti sul banco e agguantatasi la fronte con ambe le mani, mulinava:

— Vendetta! Bel pro che me ne viene, affé di Dio! Ho fatto come Sansone, ho crollato il tempio per seppellirmi sotto le sue rovine. Ho messo fuori del balcone di casa la bandiera della mia infamia, come il dì della festa dello statuto la bandiera tricolore: gua’, m’ero curvato per raddrizzarmi più forte, e mi trovo schiantato al pedale. Che fo? Che penso? Aspetterai esser tirato col gancio al collo alle gemonie delle assise? Quanta gente a godersi lo spettacolo dello accusatore accusato, a udire condannato chi soleva far condannare; il popolo non si leva tutti i giorni questi gusti! — E chi verrà ad assalirmi? Chi? Il mio sostituto, e con la piena dell’animo, che sfoga la lunga umiliazione dei rabbuffi da me sofferti d’inettezza e d’infingardag-