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Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, II.djvu/15

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non sentirono raccapriccio a pascere le carni del mite aiutatore delle loro fatiche. Però spento ogni ribrezzo, non postergarono ogni pudore, e dopo che ebbero soppressa la realtà delle cose ne mantennero la sembianza, ond’è che nei sagrifizii di Giove, immolato il Bove, il sagrificatore come colpito da sbigottimento fuggiva. Allora i Giudici lo citavano assieme con i suoi complici o vogli garzoni o vogli fanciulle a comparire davanti il tribunale e purgarsi della scelleraggine: le fanciulle, le quali avevano portato acqua per inacutire i coltelli, accusavano gli arrotini; gli arrotini i satrificatori, questi altri i coltelli, che trovati soli colpevoli condannavansi ad essere sommersi. Questa cerimonia fornita, anche i Giudici senza un rimorso al mondo sedevano a mensa per divorare il mansueto animale, che aveva speso la vita ad alimentarli; il sagrificatore, data una giravolta, andava a ripescare i coltelli, e il giorno dopo si facea da capo. O ipocrisia, quando la religione spaventata dalle ferine usanze degli uomini si rivolse volando alle dimore celesti, lasciò per la fretta cascarsi i panni da dosso, e tu che in quel punto facevi capolino dall’Inferno saltasti fuori, gli raccogliesti, li vestisti ed in sembianza di prete incominciasti a regnare sopra la terra! Però i Bramini dell’India, dei patrii riti osservatori rigidissimi anche a miei dì, predicavano abbominevole cibarsi con le carni