Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, II.djvu/257

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dico, conobbi che la lingua era diventata, corda, la quale non rispondeva al tasto: arnese degli eredi di Giuda, puh! la sputai di bocca come noce bacata.

Nè provai pentimento di essermi lasciato andare in balìa dello sdegno, però che avendo fra tutte le lingue scelto quella che tanto onorò Dante e gli altri della sacra schiera ed era bastata per manifestare al mondo così ampia gloria d’ingegni divini, quindi in breve con amarezza ineffabile io la contemplassi deturpata da straniere abbominazioni, le quali ella, non che non rifugisse, da insana libidine riarsa provocava; pari e per avventura peggiore all’Oliba della Scrittura, che scorgendo sopra la parete dipinte le immagini dei Caldei359 ne delirò i nefandi abbracciamenti. Così dal capo alle piante tutta una lue, la polluta, ardì ascendere i pulpiti e quinci piovere su i capi degli assembrati un influsso pestilenziale quasi aria maremmana; occupò le aule dei tribunali, barbari sensi vestendo con barbarissime voci, e forse fu provvidenza onde il male non usurpasse le sembianze del bene; come Porco in brago, s’impantanò per la melma delle leggi rendendo paurosa una materia assurda, e malvagia nel modo che il fruscio della coda attestava la presenza del Serpente a sonagli; sbordellò pei Darii, e su la bocca di oratori, i quali presumevano, svergognati! essere della Patria svisceratissimi, e non sape-