Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, III.djvu/159

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tramonta sibbene a quello che si leva509. E i cortigiani, volando via come colombi impauriti, si accordarono a dichiarare che le più belle parole e le più belle cose dei Principi, del pari che il canto de’ Cigni, sono quelle che dicono o fanno in procinto di morte. Una volta, per quanto ne intesi, alcuni cortigiani convennero a fare prova di piangere nell’anticamera di certo Principino, che nella stanza appresso stava per tirare il calcetto: ma il poeta Maleserba, uomo rotto, passando quinci oltre, con burbero accento gli rampognò: — di che cosa piangete, che Dio vi mandi il vermocane? disse loro; avete paura che vi manchino padroni?510. I cortigiani cessarono le finte lagrime, considerando che amare e cordogliare i principi, che servono, non entra negli obblighi loro. Ammirabili nella prima rivoluzione di Francia i Cani consolatori, dei proscritti visitatori indefessi, non ributtati dagli oltraggi, non atterriti dalle minaccie, dalle ferite stesse non vinti; messaggieri unici, compagni fino al sepolcro degli amati padroni, anzi oltre il sepolcro, conciossiachè se ne annoverassero parecchi morti col cuore rotto sopra la fossa di quelli511. Frattanto ventinove o trenta milioni di Francesi tremavano a verga sotto la sferza dello avvocatuzzo di Arras, come sempre davanti quelli che, fra i loro caporali, ricordansi, che l’undici viene dopo il dieci: age-