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Il ritorno 155


Giù poi per andare all’Esposizione c’è proprio un mondo nuovo, c’è il quartier gaio, vario, a giardinetti ed a terrazze, che mancava a Torino. Mi ricordo delle profonde malinconie che mi assalivano in ottobre al cominciare delle scuole, girando la domenica nei viali lunghi e monotoni della vecchia piazza d’armi. Le carrozze sfilavano in silenzio sotto agli ippocastani; due file di gente andavano e venivano seriamente come a processione. Di quando in quando le livree reali mettevano una nota rossa e allegra in tutto quel grigio, in tutta quella compostezza fredda dell’aria, delle linee, delle fisonomie. I primi venti gelidi che venivano dalle Alpi e attraversavano l’immensa e squallida spianata, mi davano i brividi, mi facevano pensare con doloroso desiderio al mio paese dove c’era meno freddo e meno serietà. In quelle noiose domeniche mi pareva veramente d’essere esiliato, e sentivo la solitudine, sentivo lo sconforto profondo dell’esser lontano da tutti quelli che mi volevano bene. Ora tutto è cambiato e, sullo stesso luogo delle malinconie, ho visto la gaiezza, alle volte troppo chiassosa, delle casine variopinte, dei boschetti fioriti e delle vie bizzarramente costruite. Qui non mi sarebbe sembrato d’essere in esilio e il vento delle Alpi deve esser meno freddo per coloro che passeggiano per le stesse vie tanti anni dopo di me. Non sono io che vegga con occhi mutati, è proprio Torino che ha fatto la pelle nuova e più allegra fisonomia. Strano! Con la capitale se n’è andata anche la noia.

Eppure Torino non ha rinunciato ad essere una