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308 Brani di vita

laugurio. Finita la vendemmia, cadon le foglie; finita la gioventù, cade l’amore. Rimane il vino, ricordo dei grappoli; rimangono le opere, ricordo della vita; ma se i tralci rimettono le foglie a primavera, l’uomo di primavera ne ha una sola e non rimette mai più le prime illusioni e le speranze! Tristi pensieri che allora non avevamo nè io, nè le vendemmiatrici.

Le quali cantavano i loro stornelli recando in capo i canestri pieni di grappoli dorati e reggendoli colle braccia nude, come canefore greche; nè io sapeva allora come la stretta di due braccia di donna può anche uccidere. Nella oscurità dell’anima del bambino non hanno luogo nè l’idillio, nè la tragedia; ma tornato a casa, sentivo da per tutto il caldo odore del mosto e, quando lo risento, ricordo sempre il pergolato del paretaio e il canto delle vendemmiatrici.

Dopo molti anni sono ritornato, ma il pergolato ed il paretaio non c’erano più. Nessuno si ricordava di me. Molti, troppi, erano morti. Superstite solo era il melo delle frutta acide e selvatiche che mi piacevano tanto perchè me l’avevano vietato, come il Creatore vietò ad Eva il suo, con quel risultato che sapete. Era diventato grosso, rugoso, aggrondato. Volli addentare un pomo, ma lo sputai come veleno. Eppure egli, poveretto, non aveva cambiato i suoi miseri frutti; ero cambiato io!

Le vendemmiatrici dove erano? Morte forse anche loro? Pensai alle tristi parole del Rabelais “addio panieri, la vendemmia è finita!” Addio.