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Pagina:Guerrini - Brani di vita.djvu/320

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310 Brani di vita

oppressione di solitudine, mi sentivo maturo per un po’ di requie. Trovata l’ombra di una casa, appoggiai la bicicletta al muro e ripresi a studiare la Guida. Nel silenzio meridiano non passava un soffio, non che una creatura viva, e sentivo una gran voglia di chiudere un occhio, tanto più in paese di galantuomini come si vede dal modo di guardare le vigne, quando ad un tratto dalla casa uscì un suono di pianoforte.

Chi era quella buona, santa e bella ragazza (perchè doveva essere una ragazza bella, santa e buona) che mi suonava la sesta Rapsodia del Liszt, proprio quella che mia figlia suonò la sera prima della mia partenza? Mi sentii dentro un rimescolìo di riconoscenza e di amore, ma l’aspettavo all’allegro che ha le ossa dure. “Ora ti voglio” dicevo io! Ebbene; la ragazza santa, buona e bella, eseguì l’allegro con disinvoltura brillante, come se nulla fosse! Benedetta sia!

Me ne andai, lo confesso, con una tendenza alla tenerezza che, se gli amici mi avessero visto, riderebbero ancora. Me ne andai e giunsi ad Alessandria, ripetendo per la incognita i versi del Leopardi:

Di qua dove son gli anni incerti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi.


Sarà per ciò che quando risento la sesta Rapsodia del Liszt, chiudo gli occhi e mi vedo presso a Basaluzzo, all’ombra di un muro e con una gran voglia di piangere.