Pagina:Guerrini - Brani di vita.djvu/373

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Suum cuique tribuere 363

punta di rimorso lo feriva e, pur consolandosi perchè se n’era confessato e n’era stato assolto e perdonato, nondimeno ne provava un po’ di amaritudine.

Ma ad un tratto il campanello squillò e si udirono di nuovo i latrati di Gerundio e le ciabatte della serva. Era un telegramma e Don Vencenzì, unico in casa che sapesse scrivere il suo nome, firmò frettolosamente la ricevuta ed aprì la carta gialla con le mani tremanti. Nella sua anima superstiziosa, dopo lo sproposito dell’aborto, era rimasto il terrore di nuovi guai e la persuasione che tutto in quel giorno gli dovesse andar male. Egli che scaraventava le sentenze così a cuor leggero, temeva che quel foglietto contenesse una sentenza; ma, fattosi coraggio, dopo averlo letto alla meglio, diventò rosso come il belletto e lo tese a Zì Marù stridendo con la sua voce di cappone stonato: “Leggi, leggi, Zì Marù!” Ma Zì Marù aveva le sue buone ragioni per non leggere ed allora Don Vencenzì declamò il testo del telegramma che diceva:

Godo essere primo annunziarle sua promozione Consigliere Corte Appello Lampedusa – Chiavone.

Zì Marù rimase fredda. Certo la promozione non le spiaceva, ma era una diminuzione per lei ed una esaltazione pel marito: perciò tacque.

Ma non tacque Don Vencenzì cui la notizia era andata alla testa così che pareva trasfigurato. L’ora dello sconforto era passata e finalmente si rendeva giustizia alla sua anzianità. Finalmente riacquistava l’onor suo trionfando sugli invidiosi e sui malvagi