Pagina:Guerrini - Brani di vita.djvu/405

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Per un sonetto 391

elemosine e doni? E le prediche di cui “l’empia setta giudeo-massonica imperante” fa quasi sempre le spese, non sono dunque più intercalate dal fervorino per “l’abbondante elemosina”? Il fatto può essere verificato da Lei, Signore, quando voglia e in qualunque chiesa; ma non da me che non ho facoltà di prova. E poi, mi dica in verità, nella enunciazione di questo fatto, dove sono gli estremi della diffamazione o dell’ingiuria, secondo il testo della legge? Forse perchè ho aggiunto “Ogni cosa mi frutta e frutta bene”? Ma, in nome di Dio, a chi fruttano quelle assidue e ostinate collette? Non certo a me od a Lei. Fruttano al Pastore. Egli le applicherà alle anime del Purgatorio o all’Opera dei Congressi cattolici, questo è affar suo; ma chi riscuote, chi incassa è Lui, o chi per Lui; ed Egli stesso, se non mi vietasse di chiederglielo, spero che non lo negherebbe.

E quanto alla seconda quartina, lo Stato non protegge dunque più e non sostiene Monsignore nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue prerogative? Ma se egli ricorre ai Tribunali per sostegno e protezione contro di me, riconosce dunque per vero il fatto che affermo! È bensì da confessare che quanto al secondo verso, “Nessun s’impiccia degli affari miei” (bel verso, Sante Muse, da querelarsene!) c’è inesattezza, perchè il “Lamone” se ne impiccia. Ma, oltre che s’intende alla prima che questo verso è legato all’antecedente e allude ad ingerenze ben diverse da quelle d’un giornaletto, dov’è l’offesa all’onore ed alla reputazione? E si