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L’imitazione e Giacomo Leopardi 423


Viene la solita tempesta, la solita lusnada del Porta ed appare un angelo che annunzia al poeta la sua prossima fine, l’appressamento della morte. Tuttavia, perchè il poeta non si dolga troppo di abbandonare il mondo in così giovane età, l’angelo mette mano alla solita lanterna magica che, dopo la Basvilliana, dovrebbe essere lasciata stare, e fa vedere la processione delle vittime dell’amore, dell’avarizia, dell’errore, della guerra, della tirannia, tale quale nei trionfi del Petrarca. L’anima di Ugo da Este a modo di episodio, un po’ imitando Francesca, un po’ Ugolino, narra la nota tragedia e come, dopo il colpo paterno, svolazzò lo spirto sospirando. Si maledice l’eresia anglicana e si sente un po’ d’influsso alfieriano nella declamazione contro la tirannia; e insomma, imitando un poco a destra ed un poco a mancina, finito il corso dei carri, si spalanca il cielo e si vedono Cristo, la Madonna, i santi e tutto l’empireo cattolico, Dante, il Petrarca e il Tasso sono del beato coro. Chi sa perchè ne è escluso l’Ariosto?

Dopo questa beatifica visione tutto sparisce, ed il poeta, rimasto solo, si duole di dover morire, ma pure si rassegna e finisce invocando Dio e la Vergine perchè l’assistano nell’ultimo passo. A questo punto ritorna in capo al lettore lo stesso dubbio che lo assalì sino dalle prime terzine e si chiude il libro tentennando il capo e chiedendo: ma è proprio roba del Leopardi?

Si trovano molti riscontri nelle lettere del Leopardi, del Giordani e d’altri, che parlano della cantica; la calligrafia sembra del Leopardi, il quale ordinò