Pagina:Guglielminetti - Anime allo specchio, Milano, Treves, 1919.djvu/105

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lui stesso, creata dal suo amore era l’unica che ormai gli rimanesse. L’altra, la vera, la vivente, quella che parlava e rideva con una voce tanto argentina non gli apparteneva più. Uno qualunque era venuto, e senza nessun diritto, senza essere nè più bello, nè più piacevole, nè più intelligente di un altro se l’era presa e portata via. Ed egli era rimasto solo.

Fabio Lucani seguitò così per un mese a meditare sulla partenza di Oretta e sull’ingiustizia degli umani destini, finchè ella ritornò da Parigi e venne un giorno a trovarlo.

Indossava una lunga pelliccia scura sopra un abito di velluto nero e fra tutto quel bruno opaco, sotto un bizzarro cappello a piccolo tricorno che esposto in una vetrina di Rue de la Paix aveva portato come un poema il cartellino del vien de paraître, la sua bianchezza e la sua biondezza sembravano più delicate, più fragili, più molli; le davano l’apparenza di certi fiori di serra tropicale che l’aria troppo viva uccide.

— Come ti farei volentieri un ritratto così, fra tutta quell’ombra notturna, — diceva il pittore, socchiudendo gli occhi come per vedere nei suoi indecisi contorni la figura del quadro.

Oretta rise alzandosi d’improvviso con un atteggiamento spaventato.

— Per carità, zio. Se tu sapessi quanto ho