Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
il dolce egoismo | 229 |
una sera Ugo le annunziò che fra due giorni avrebbe lasciato la casa di cura per ritornare a casa sua e terminarvi la convalescenza.
— Partirà solo? — domandò Luciana pallida, con gli occhi improvvisamente segnati da due solchi violastri.
— No, — diss’egli, — verrà qualcuno a prendermi domani.
Ella aperse le labbra a un’altra domanda, ma ebbe paura della risposta e si trattenne.
Il domani ella uscì per la prima volta sola dopo la sua malattia, vagò come un povero animaletto sperduto per le vie della città, sedette sfinita su di una panca lungo un viale sconosciuto, ingoiando le sue lacrime, oppressa da una stanchezza mortale. Al tramonto rincasò, si rifugiò nella sua camera, si buttò sul letto vestita, desiderando disperatamente di morire.
Dopo mezz’ora le parve udire alla porta due leggeri colpi discreti; balzò a terra palpitando, aperse. Un bellissimo bimbo di tre anni, un piccolo amore paffuto le porgeva con le due mani un mazzo di rose, levando le braccia, alzandosi sui piedini per giungere a lei, guardandola spaurito con due larghi occhi vellutati come quelli d’Ugo Franti. Egli subito apparve e le tese la mano sopra la testa del bimbo, senza parole. Senza parole Luciana si chinò, prese il piccino fra le