Pagina:Guglielminetti - Anime allo specchio, Milano, Treves, 1919.djvu/34

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24 la falena e il lume

io gli posai una mano sopra la spalla. Vidi i suoi occhi scrutare impauriti il buio della stanza vicina, ma il pensiero di Sofia era così assente da me che non compresi il suo sguardo; non dissi parola, non feci gesto; mi abbandonai senza forze sul bracciuolo della poltrona e gli caddi sul petto. Mi scuoteva tutta un tremito convulso che non riuscivo a domare e non sentivo che il battito del suo cuore sotto la seta leggera, che il pulsare d’una vena del suo collo sotto le mie labbra. E le sue braccia intorno al mio corpo si stringevano sempre più forti e la vena del suo collo pulsava sempre più affrettata. Ma io cedevo a quell’abbandono con un senso d’oblio e di rapimento così profondo che mi pareva di non aver conosciuto la vita prima di quell’attimo.

E non fu che un attimo. Sentii le sue labbra avvicinarsi al mio orecchio, susurrarmi una parola e l’incanto fu spezzato di colpo. La mia coscienza si ridestò; il nome, il volto, la bontà e la fiducia di Sofia balenarono fulminee immagini dentro di me, mi strapparono da quelle braccia gelida di spavento, mi costrinsero a fuggire, a ritornare al mio letto, a nascondermi fra le coltri, tremando e ansimando come una colpevole.

Non presi sonno che all’aurora, e quando mi destai a mattina inoltrata, Sofia, dolce, sorridente, serena come sempre, si affacciò